Grazie Spalletti, grazie per il gioco espresso, ma così non ci si comporta. Mentre tutti rimpiangono il tecnico toscano, io no, non lo rimpiango. E vi spiego anche i motivi.
Spalletti aveva già deciso di lasciare la Roma dalla stagione 2007/2008, ovvero dal famoso incontro a Parigi dove si ritrovò insieme a Carlo Ancelotti per incontrare i dirigenti del Chelsea. Eravamo tutti – e sottolineo tutti – scottati dalla vicenda George Soros, che poi si rivelò un flop clamoroso. Ebbene, quel mancato passaggio di proprietà fece scattare le antenne a Luciano Spalletti che subito dopo la vittoria della Coppa Italia contro l’Inter disse alla Rai: “I miei propositi per l’anno prossimo? Imparare meglio l’inglese…”. Tutti interpretarono quella frase come una conferma del passaggio di proprietà da Rosella Sensi al magnate americano.
Invece no, Spalletti aveva già in mente di andarsene. Infatti la stagione, quella scorsa, fu disastrosa per la Roma nonostante la società nel mercato avesse portato a Roma giocatori del calibro di Julio Baptista, Menez e Riise.
Va bene il patriottismo: siamo contenti che un allenatore italiano, così come ha fatto Ancelotti, porti la propria filosofia di gioco all’estero, ma perché essere ipocriti? Abbiamo visto quest’anno che dopo appena due – dico due – sole partite, Spalletti se n’è andato a gambe levate, probabilmente con un accordo verbale con lo Zenit in tasca, mentre Roma si accaniva contro la famiglia Sensi che era accusata di aver fatto “scappare” il tecnico di Certaldo.
In bocca al lupo, Spalletti. Ma si ricordi: Roma ti ha rispettato e un po’ di rispetto lo meritavamo anche noi addetti ai lavori e tifosi…
